IL RIENTRO A CAGLIARI
Il richiamo alla dimensione domestica sarda si integra con lo sguardo di chi ha vissuto fuori l’isola. Maria, al suo rientro a Cagliari, non è più allieva e la formazione triennale veneziana è, dunque, conclusa. La severità di Arturo Martini e il confronto con gli altri artisti, a lei contemporanei, sono le condizioni necessarie per affinare quel rigore e quella pazienza che declinano la sua ricerca estetica. Arturo Martini dichiara la morte della scultura e la giovane artista ha un momento di sfiducia nell’utilità dell’arte. A quei tempi, inoltre, una ragazza è spinta a diventare moglie e poi madre. L’essere artista è giudicato un capriccio, qualcosa di bizzaro e sicuramente “improponibile” per una donna. “Per me si preparava una vita, finalmente, normale. Così mi dicevano. Ma io ero infelice.”
Con la morte violenta del fratello, Maria Lai si mette subito a lavoro, perché, semplicemente, “la vita è breve” e non bisogna perdere tempo. Non è più il momento di dubitare, ma di fare, immaginare e creare. Il sostegno di Salvatore Cambosu che la spinge a seguire la sua inclinazione creativa, a discapito di tutto e tutti, è fondamentale. Lo scrittore ha piena fiducia in Maria e la promuove consapevole del suo valore. La giovane artista collabora, inoltre, con Giuseppe Dessì, che diventa un grande amico. Insieme giocano seriamente con le parole e con le immagini, concependo storie e leggende, come nel caso del mito del Dio distratto. L’autrice continua a tessere la sua ricerca estetica, fatta di iniziali incomprensioni, ma anche e, soprattutto, di successi inaspettati, fino alla sua totale inclusione nel club di quegli artisti fondamentali nel panorama culturale del Novecento. Tanto da riuscire a tenere per mano il sole, come testimonia l’ultima grande mostra a lei dedicata al MAXXI di Roma, dal titolo, appunto, “Tenendo per mano il sole”.