Il coraggio leggendario di Margaret Bourke
Margaret Bourke–White è una fotografa leggendaria, come lo sono i suoi due coccodrilli all’ultimo piano del suo studio al Chrysler Building di New York, il suo panno per la camera in coordinato con il suo outfit, ma soprattutto per il suo coraggio che l’ha portata dove gli altri ancora non immaginavano di voler andare. Non ha timori neanche nel mostrarsi durante l’ultima parte della sua vita in lotta contro il Parkinson. In questi anni difficili la ritrae il collega Alfred Eisenstaedt, “un fotografo gentile e di grande talento”. La Bourke–White, che si arrampica e cammina dove molti hanno paura, si trova infine a combattere contro questa malattia che la “rende prigioniera del proprio corpo, come fosse in un armadio e incapace di uscire”.
La mostra: una retrospettiva di tanti reportage
Sperimentatrice di natura e corrispondente per riviste del calibro di Fortune e Life, Margaret Bourke–White è stata lì dove la storia accade. L’esposizione Prima, donna, curata da Alessandra Mauro, si compone di circa 100 foto e si rimane ammaliati da come sia riuscita sempre a cogliere l’atmosfera di quello che le è intorno.
Inizialmente la Bourke–White, cammina lungo il perimetro esterno delle fabbriche, entra nelle acciaierie e si arrampica nei luoghi più impensabili per avere delle inquadrature semplicemente difficili da ottenere. Il fascino dell’architettura industriale lascia il passo alle persone e il loro universo. Negli anni ‘30 decide di andare nel sud degli U.S.A., per capire, vedere e restituirci la grande siccità. È la fine del suo lavoro esclusivamente in campo pubblicitario, da questo momento in poi scatta qualcosa. Non più solo fotografia pubblicitaria. Nasce, invece, la necessità di creare un libro, “You have seen their faces”, a cui collabora anche lo scrittore Erskine Caldwell.
L’autrice viaggia per tutto il mondo, ritrae la guerra e l’immediato dopoguerra con gli scatti del campo di concentramento di Buchenwald e di quel che resta delle città di Lipsia, Berlino e Norimberga. Riesce persino ad andare nell’Unione Sovietica più volte nel corso degli anni per fotografare lo sviluppo industriare. Non mancano all’appello l’india di Gandhi e le miniere del Sudafrica con i suoi minatori e le loro condizioni di lavoro disumane.
La Bourke–White fotografa senza censure anche e soprattutto quando i soggetti subiscono le conseguenze di una ferocia insopportabile. Malgrado l’obbligo morale del “raccontare il mondo agli altri”, le implicazioni etiche non mancano, come anche i dilemmi che sono inesorabilmente ricorrenti e dolorosi.
Il sorriso accennato di Iosif Stalin
Margaret Bourke–White è stata l’unica fotografa a riuscire ad assicurarsi una sessione di posa con Iosif Stalin a Mosca. La foto in mostra è di formato medio, quasi passa inosservata, ma quel sorriso appena accennato sul volto di Stalin continua a rimanere impresso anche giorni dopo averla vista. Com’è possibile, come ci è riuscita in una foto ufficiale? È il 1941 e il retroscena di questo scatto è molto divertente. Immaginate tutta la tensione del mondo di un capo di stato come Stalin, sommatela alla concentrazione massima di chi deve realizzare un ritratto importante, aggiungete la scelta di una inquadratura dal basso che vede la fotografa inginocchiarsi davanti a Stalin e improvvisamente assistite alla caduta e al rotolamento di alcune lampadine che Margaret Bourke–White teneva in tasca. Ecco, quel rotolamento di oggetti simili a palline ha fatto sorridere Stalin così tanto che anche dopo alcuni minuti la fotografa è riuscita a catturare un po’ di quell’attimo di ilarità. Il tutto durò pochissimo, perché dopo il secondo scatto Stalin “tornò a farsi di ghiaccio”.
Cosa vedere
Prima, donna, a cura di Alessandra Mauro
Dove
Museo di Roma in trastevere, mostra promossa dalla Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con Life Picture Collection
Quando
21 settembre 2021 – 27 febbraio 2022
Curiosità: consiglio il catalogo, perché contiene anche degli estratti dell’autobiografia di Margaret Bourke-White e sono molto interessanti